Essere un genitore, è una grande incognita, perché nessuno può insegnarti come poterti preparare a questo ruolo.

E’ una grande responsabilità, soprattutto se ci focalizziamo su come vorremmo che ci assomigliassero i nostri figli, su quanto diamo per scontato che i loro interessi debbano essere per forza come i nostri, quasi a illuderci che loro siano la nostra fotocopia, quasi a voler allontanare l’idea che possano essere perfettamente l’opposto di ciò che siamo noi. E ti puoi accorgere che ci sono particolarità che non ti sai spiegare, perché non riesci a comprendere COME FUNZIONA TUO FIGLIO, e allora inizi a chiederti se sei solo tu a vedere il suo mondo capovolto, ma hai paura di chiedere per poi dover scoprire qualcosa che potrebbe cambiare l’ordine perfetto delle tue priorità. A me è successo, proprio così, in questo ordine, passando anni a rincorrere mio figlio nei suoi sentieri che spesso diventavano, per me, faticosamente incomprensibili.

E’ stato un viaggio, o forse è più corretto dire una ricerca, che ci hanno messo in relazione con figure professionali di cui ignoravamo sia l’esistenza, come l’essenziale importanza. Le famiglie come la mia, dove ci sono identità con particolari dinamiche da supportare, diventano FAMIGLIE ALLARGATE o, per meglio dire, si devono allargare per lasciare spazio agli psicologi, ai logopedisti, i neuropsichiatri, gli educatori sociali, che diventano i punti di riferimento per sviluppare progetti ottimali di studio, socialità e autonomia. Il mio ingresso presso la struttura del centro AQUILONE, è arrivato dopo aver provato altre alternative che però non avevano finalizzato l’indagine con un risultato chiaro. Un monitoraggio che si è ampliato e poi focalizzato sulle caratteristiche di mio figlio, che lo ha traghettato verso una diagnosi che ci ha poi permesso di capire come intervenire. La diagnosi deve essere accolta come se fossimo di fronte ad un bivio: si decide se trasformarla in un PUNTO DI ARRIVO, o cambiarla in un PUNTO DI PARTENZA. Noi abbiamo scelto la seconda alternativa. Spaventa avere una certificazione che non lascia più dubbi, ma vi posso assicurare che non sapere, non capire, non poter dare un nome a queste sfumature, destabilizza, perché la cosa peggiore del viverne avvolti, è che la gente si aspetta che, chi le ha, si debba comportare come se non ce l’avesse.

Sicuramente, se i risultati arrivano, confortano, ma occorre avere fiducia reciproca, costanza, impegno e lasciarsi coinvolgere fino a diventare una squadra. Sono stati anni dove abbiamo imparato a farci aiutare per poter migliorare, e senza le nostre figure essenziali, probabilmente saremmo rimasti fermi li, su quella linea a dirci che eravamo arrivati, senza trovare il coraggio di ripartire per ammirare il mondo di Giacomo dal suo punto di vista, osservandolo dalla giusta distanza.